È POSSIBILE LA SALUTE IN CARCERE? IL PAZIENTE DETENUTO CON DIPENDENZA PATOLOGICA
Il programma di questa FAD ASINCRONA è composto da 5 moduli con brevi video che introducono alcuni capitoli del libro “È POSSIBILE LA SALUTE IN CARCERE? Salute mentale e Dipendenze: la complessità della cura” edito da CERCO EDIZIONI.
Al termine della frequenza e dopo la compilazione del questionario ECM, si potrà scaricare in omaggio il PDF dell'intero volume.
Il carcere può alimentare una sorta di “circolo vizioso della sofferenza psichica: l’isolamento e la mancanza di contatto con l’esterno, insieme allo shock della detenzione, possono facilitare la comparsa o l’aggravarsi di un disagio psichico che può essere già diagnosticato o ancora latente.
Dalla depressione alla psicosi, passando per i disturbi della personalità. Il panorama delle malattie mentali nelle carceri italiane è molto variegato, con una prevalenza nettamente più alta rispetto a quella che si registra nella popolazione generale. Se fuori dal carcere, ad esempio, i disturbi psicotici si riscontrano nell’1% delle persone, dietro le sbarre la percentuale sale al 4%.
Più alti sono anche i numeri della depressione: nei detenuti la prevalenza si attesta intorno al 10% contro il 2-4% della popolazione generale. Inoltre, più della metà dei reclusi, il 65%, convive con un disturbo della personalità, una percentuale dalle 6 alle 13 volte superiore rispetto a quella che si riscontra normalmente (5-10%). Al disagio mentale, infine, si sommano spesso i disturbi da sostanze stupefacenti, che tra i detenuti hanno una frequenza 12 volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale (48% contro 4%). L’isolamento e la mancanza di contatti verso l’esterno possono favorire la comparsa o l’aggravarsi delle malattie mentali, finendo per alimentare il “circolo vizioso della sofferenza psichica”. “La perdita improvvisa di libertà e lo shock derivante dalla detenzione sono tutti traumi che incidono sulla psiche dei detenuti, che non sempre hanno la forza interiore di reagire.
Da non sottovalutare poi l’impossibilità di comunicare con l’esterno: si passa da un “fuori” che oggi è caratterizzato da comunicazione immediata e social, ad un “dentro” il carcere, dove la persona si trova improvvisamente tagliata fuori dal mondo, senza possibilità di parlare con amici e parenti, senza cellulare o internet. Così i suoi contatti sono limitati ai colloqui con il proprio avvocato, con la famiglia e a qualche programma televisivo. Si tratta di esperienze che a livello psichico possono lasciare segni molto forti, trasformando il carcere in luogo dove possono nascere ed esplodere problematiche di tipo psichiatrico”.
Una programmazione terapeutica spesso obsoleta, carenza di percorsi di assistenza e di riabilitazione, collegamenti non adeguati con il territorio, che non facilitano il reinserimento dopo la reclusione: oggi sono forse questi gli ostacoli più ingombranti nella gestione del disagio psichico in carcere. Problematiche che derivano da diversi fattori, come ad esempio la scarsa integrazione delle figure professionali e la mancanza di dati epidemiologici precisi relativi al disagio mentale tra i detenuti. Persiste ancora infatti uno spiacevole luogo comune che vede i detenuti come persone che, in quanto colpevoli, non sono meritevoli di cure.
È tremendamente difficile gestire i malati di mente in carcere. Esistono abissi di necessità. La promozione e la tutela della salute mentale negli istituti penitenziari vanno riguardate come obiettivi che nell'immediato bisogna porsi non solo ai fini più strettamente sanitari, ma anche ai fini della sicurezza negli istituti.
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